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La Coach delle Unghie, a portata di mano

by Francesca Marangoni
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Prendetevi qualche ora e mettetevi comodi, perché il primo libro di Michela May, meglio nota come La Coach delle Unghie, non è solamente di una piacevole lettura per gli appassionati di nail care, ma è soprattutto la storia di una ragazza che ha lottato con le unghie e con i denti per il proprio sogno. E ne è uscita vincitrice. 

Il libro La Coach delle Unghie – Consigli e Trucchi per Avere Mani Sempre Favolose, edito da Rizzoli, racchiude in poco più di 200 pagine gioie, lacrime, istruzioni per l’uso e tanti consigli dedicati agli amanti delle unghie, siano essi professionisti o autodidatti. Una lettura da portare a termine tutta d’un fiato, ma pensata anche per essere consultata a capitoli o a seconda delle esigenze. Il libro si apre con l’intensa storia personale e professionale di Michela, per poi lasciare spazio a La Coach delle Unghie in un piccolo manuale di self-care che spiega l’unghia da un punto di vista teorico e pratico, per prendersene cura al meglio. La vera chicca del libro sono i 4 capitoli dedicati alla maniroutine stagionale: per ogni stagione dell’anno Michela ha pensato a rituali di maniroutine, playlist musicali e colori dello smalto per regalare una coccola ai lettori, così che possano avere non solo della mani da favola, ma anche un momento di relax tutto per sé. Conclude la lettura l’ampia raccolta di Q&A, frutto della lunga esperienza professionale di Michela e volta a sciogliere ogni dubbio che abbiamo sempre avuto ma non abbiamo mai osato chiedere. Sfogliare queste pagine è come ritrovarsi a tu per tu con l’amica di sempre per una lunga chiacchierata: la semplicità di Michela traspare in ogni singola parola, in un racconto autentico e diretto volto a fornire al lettore tutti gli strumenti necessari, spiegati in maniera esaustiva e comprensibili anche per i non addetti ai lavori. 

Le domande sorte durante la lettura del libro sono state tante, e nessuno meglio di La Coach delle Unghie avrebbe potuto soddisfare le nostre curiosità. Già dalle prime parole che ci scambiamo durante l’intervista riconosco la persona che vediamo ogni giorno sui social, semplice e professionale, follemente innamorata della realtà professionale che è riuscita a crearsi con tanto sacrificio.

Ciao Michela, ci racconti com’è nata l’idea di mettere nero su bianco il tuo lavoro?

L’idea mi era venuta già qualche anno fa, nel 2018, anno successivo all’inizio del mio “sogno imprenditoriale”. Ho esordito dicendo: “Io farò un libro”. Non “Mi piacerebbe”, ma “Lo farò”. Ero molto convinta. Consapevole che non avrei più avuto molto tempo libero per potermici dedicare, ho iniziato a scrivere ciò che stavo vivendo in quel momento, per non trascurare dettagli e sfaccettature del “qui e ora”. Scrivevo sulla metropolitana al mattino prima di andare al lavoro, e facevo lo stesso quando la giornata finiva. Avevo cominciato descrivendo le parti più emotive e più personali della mia professione, come una sorta di autobiografia corredata da qualche sfogo, in una situazione lavorativa in cui non ero particolarmente felice. Poi è arrivata la pandemia, e in una sola notte ho scritto della maniroutine, immaginandola declinata in ogni mese dell’anno, come un calendario che le persone avrebbero sfogliato per trovare i consigli mensili per prendersi cura al meglio delle proprie mani. Mi ispiravo ai simboli dei diversi mesi, agli alimenti di quei periodi. Questa parte è presente nel libro, ma da mensile è diventata stagionale in accordo con l’editor, perché l’abbiamo ritenuta più semplice da attuare. Rizzoli è forse stato preso in contropiede: quando mi hanno chiesto se mi andasse di scrivere un libro, la mia risposta è stata “In realtà l’ho già fatto!”. Da lì abbiamo sviluppato insieme il progetto, che a loro era piaciuto tantissimo. Lo scheletro c’era, l’idea anche, ma ovviamente doveva essere più strutturato. Alla fine è venuto fuori il mio gioiellino, che è un po’ l’estensione di me.

Nel libro ci sono dei racconti estremamente personali, tant’è vero che tu scrivi “È il backstage che avete sempre voluto conoscere e che molte volte ho nascosto”. Ci racconti per te che percorso è stato la stesura di questo libro? È servito per “lasciar andare” il passato?

Ho voluto condividere questi dettagli pensando che potessero essere utili a qualcuno. All’interno del libro c’è una parte del mio percorso personale molto sofferta che riguarda il lavoro e le tante ingiustizie subite, come molto spesso accade a tanti lavoratori dipendenti, ma non solo. Oltre a questo c’è un racconto molto privato nel quale parlo dei disturbi alimentari, di cui ho sofferto molto tempo fa, sennò non sarei riuscita a parlarne. Mentre scrivevo è come se avessi avuto un’altra Michela che consolava e coccolava la Michela che aveva sofferto in passato e la incoraggiava dicendole “Non ti preoccupare, è quasi finita”. Ho sempre scritto mettendo il loop “Jealous Guy” di John Lennon, una di quelle canzoni che ti riporta al passato e fa uscire parti di te delle quali non ne eri consapevole. Questo mi ha dato tanta energia, perché era come se scrivendo guardassi una persona esterna, ed in qualche modo la stavo aiutando a realizzare i propri sogni. Quindi sì, posso dire che mi ha aiutato molto perché ha fatto conoscere delle sfaccettature di me che nemmeno io conoscevo. Ho sofferto talmente tanto per alcune cose che ora le guardo con un occhio distaccato, come se mi fossi creata uno scudo. Molte cose le ho addirittura eliminate dalla mia mente, dal tanto che sono state sofferte. In qualche modo però ho sempre pensato che un artista, per tirare fuori il meglio di determinate situazioni, debba attraversare una parte di sofferenza. Non che mi ritenga un’artista, e nemmeno realizzo opere, ma è vero – non c’è nulla che possa scavare così tanto dentro di te come una piccola parte di sofferenza, che magari ti faccia anche toccare un po’ il fondo per poi vedere il mondo da un’altra prospettiva.

Effettonessuneffetto® è la tua piccola grande opera d’arte, una tecnica brevettata che permette di avere le mani più belle possibile partendo dalla loro stessa natura. Perché andare da un’onicotecnica per avere un risultato naturale, anziché puntare ad un effetto più particolare che da soli non si riuscirebbe ad ottenere?

È molto logica questa domanda, ma manca un tassello. Ci sono persone che amano così tanto la naturalezza da non riuscire ad ottenerla da sole. Quello che faccio io è dare una mano ad accettarsi per come si è, andando ad enfatizzare quelli che sono i pregi dell’unghia e a modificare determinati inestetismi, come ad esempio il letto ungueale corto o il margine ungueale ingiallito. L’apparenza è molto naturale, ma con sfaccettature di naturalezza che normalmente non si avrebbero. Insomma, il trucco c’è ma non si vede. Pensiamo ad esempio a chi vorrebbe avere unghie naturali più lunghe ma non può perché si spezzano, oppure chi si sottopone a sedute di chemioterapia e non ritrova più la propria unghia naturale. È adatto anche a quelle persone che amano lo smalto e l’unghia curata, ma sul posto di lavoro non è consentito. Io non faccio altro che dar loro ciò che hanno sempre desiderato, ma che naturalmente non è possibile, senza ovviamente stravolgere la naturale forma. Effettonessuneffetto® ad oggi è una tecnica molto amata, ma non ha certo avuto successo dall’oggi al domani. Sono stata presa in giro da gruppi di onicotecniche che mi additavano come “quella che fa le unghie trasparenti”. Mi deridevano perché pensavano fosse sufficiente applicare una passata di gel trasparente e polimerizzarlo, ed io ne avevo fatto il mio cavallo di battaglia. Mi chiedevo come fosse possibile che un pubblico di professioniste non riuscisse a vedere che non si trattava di gel trasparente, eppure non lo vedeva. Allora ho detto: “Ho vinto, ho trovato la miscela giusta!”. La verità è che Effettonessuneffetto® può sembrare banalmente trasparente, e più si pensa questo, più io “godo come un riccio” perché vuol dire che ce l’ho fatta.

Nel libro racconti che sognavi di voler fare “l’estetista delle unghie”, perché l’onicotecnica ai tempi non esisteva come professione vera e propria, mentre ora invece è sempre più richiesta. Come si è evoluta questa figura?

Io sono sempre alla ricerca di onicotecniche, ma non è facile trovarle. Credo che la maggiore difficoltà stia nella contaminazione che questa professione ha subito. Mi riferisco per esempio alla manicure russa che ha contaminato la tecnica americana, allo stile brasiliano, ed ancora a quelle dell’Est Europa che si sono influenzate a vicenda. Questa cosa può avere un risvolto molto positivo, ma a volte ti si ritorce contro e sembra che se non esegui una determinata tecnica, allora non sei nessuno. Mi ricordo quando dieci anni fa, durante i corsi di formazione, si parlava di nail form, una cartina da posizionare sotto l’iponichio per poter allungare l’unghia: guai a chi la tagliava! Io invece ero solita tagliuzzarla per far sì che aderisse bene e per evitare sbalzi a livello di prodotto. Da qualche anno, invece, se non tagli la nail form sbagli tutto. Questa secondo me è la grande pecca del settore, per la quale mi sono spesso battuta in passato: ci sono diverse tecniche, ma si può trovare un punto in comune. Non deve essere un aut aut; invece questo accade molto spesso. Per me l’importante è che tutte le cose si facciano con intelligenza, poi ognuno sceglie la propria strada. Anche perché, diciamolo, alla fine è sempre il cliente a scegliere: sta a noi mostrare il ventaglio di tecniche che ci sono, ma poi sceglierà lui la tecnica più affine ai propri gusti. Nel mio studio, alla persona che varca la porta per la prima volta, spiego ogni singolo dettaglio di quello che andrò a fare, perché i clienti devono essere consapevoli. È importante, perché una persona deve capire per cosa sta spendendo i propri soldi, e noi dobbiamo rispettare ogni singolo euro del nostro cliente. Non puoi sapere che cosa ha fatto una determinata persona per poter fare un trattamento più o meno di lusso. Possono essere anche i risparmi di due mesi… È carino e rispettoso raccontare il nostro lavoro e quelli che sono gli step; ecco perché bisogna renderli consapevoli per poi permettere loro di fare la scelta finale. 

Qualche settimana fa su Instagram dicevi: “Il mio lavoro non consiste solamente nel fare le unghie, ma si tratta di ridare amore a una propria parte del corpo che hai sotto gli occhi tutti i giorni”. Che cosa cercano realmente le persone quando vengono da te, oltre ad una splendida manicure?

Le persone sentono il bisogno di farsi le unghie perché vogliono farsi leggere, anche se non lo dicono. Hanno bisogno di dire qualcosa, ma senza esplicitarlo verbalmente. Hanno bisogno di farti sapere che si arrabbiano, allora graffiano, oppure vogliono farti sapere che amano la naturalezza perché sono persone che si prendono molta cura di loro stesse, che amano le cose fatte bene, o magari che quel giorno sono romantiche, e così via in base alle situazioni. Se ho un appuntamento faccio le unghie rosse perché è il colore della passione e della sensualità, e mi sento più provocante e più attraente attraverso un colore che non serve per apparire, ma per stimolare i miei sensi. È quindi un lavoro che faccio su me stessa. Se io faccio l’unghia nera è perché mi voglio sentire aggressiva, un po’ sopra le righe, e non devo chiedere il permesso a me stessa o a qualcun altro per fare qualcosa che mi sento di fare. Il motivo chiave, oltre ad ottenere una bella manicure, è che voglio sentirmi bene con me stessa e comunicare la mia personalità. Accanto invece troviamo quello che i clienti vogliono ottenere dall’experience, che nel mio caso è a 360 gradi. Nel mio studio non esistono le ruote dei colori, ma siamo noi a proporre la sfumatura dello smalto. Chiacchieriamo con chi ci sta davanti cercando di capire come si sente in quel momento, e nella maggior parte dei casi sono tele bianche che si lasciano colorare. È una questione di approccio: sia io che le mie ragazze molto spesso indoviniamo entrando molto in empatia con la nostra clientela.

Non è certo una cosa da poco. A questo punto mi permetto di chiederti: possiamo definirti un’artista? 

Sì dai, se la vuoi mettere in questi termini potrebbe essere. Se anche la manicure è una forma di arte, allora potrei esserlo. 

Il condizionale obbligatorio è un altro tratto caratteristico di Michela, e non certo per finta modestia, ma per una caratteristica che solitamente appartiene a chi è bravo per davvero: avere l’umiltà di non sentirsi mai arrivati. 

Un ringraziamento a Michela May, il team di La Coach delle Unghie ed il team di Rizzoli per averci permesso di realizzare questa intervista.

Image source: Courtesy of Rizzoli; lacoachdelleunghie.it; Pinterest @lacoachdelleunghie 

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