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L’arte a 360°: incontriamo Claudia Rordorf

by Federica Livio
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Sono sempre stata appassionata di arte, in tutte le sue forme. Fin da bambina, amavo disegnare e colorare; oggi amo le mostre d’arte, mi diletto nel dipingere su ceramica e sono incuriosita dallo sperimentare sempre diverse forme artistiche. Proprio così ho conosciuto Claudia Rordorf: frequentando un workshop di pittura su tela e, in particolare, volto alla decorazione di una giacca a Milano. Il suo amore per la sperimentazione e il processo artistico in sé mi hanno incuriosita e ho deciso di farvela conoscere, attraverso questa intervista.  Claudia, artista eclettica, mette le sue idee e la sua arte al servizio di progetti di empowerment al femminile, tema centrale in tutto il suo pensiero e la sua produzione: un altro motivo che mi ha spinta a chiederle un’intervista per il nostro magazine.

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  • Ciao Claudia, qual è stato il tuo percorso artistico?

Ciao Federica, grazie per queste domande che mi aiutano a fare un po’ il punto sul mio percorso. Io nasco come pittrice e fin da bambina ho sempre disegnato molto. Allo stesso tempo sognavo di poter vivere più vite possibili, come potrebbe fare un’attrice, e così ho portato avanti un percorso artistico per cui mi potrei definire piuttosto eclettica. Ho fatto studi classici e ho frequentato per qualche anno Lettere ad indirizzo storia dell’arte, ma poi ho deciso di passare dallo studio dell’arte alla pratica, iscrivendomi all’Accademia di Belle Arti dove ho frequentato il corso di pittura con il maestro Claudio Olivieri.

Poi ho seguito il corso triennale di illustrazione presso il Castello Sforzesco e ho avuto anche l’opportunità di studiare con l’illustratore Jòzef Wilkon. Ho poi sperimentato altri ambiti artistici, avvicinandomi alla produzione teatrale e televisiva facendo l’assistente alla scenografia presso il Tiroler Festpiele di Erl di Gustav Khun, l’assistente alla regia per l’opera Toscaal teatro di Salerno e l’aiuto costumista per la telenovela Vivere.

In seguito, ho conseguito l’abilitazione per l’insegnamento di arte e disegno presso la scuola interuniversitaria biennale dell’Università Statale di Milano. Dopo qualche anno di insegnamento e pratica della pittura, 16 anni fa, mi sono trasferita in Umbria dove ho deciso che il percorso artistico sarebbe diventato centrale nella mia vita e ho collaborato per qualche anno con la famiglia Fo presso la Libera Università di Alcatraz fondata da Jacopo Fo. Ho sperimentato moltissimo in quegli anni, creando vari progetti e intraprendendo la strada delle performance e delle installazioni. Sono stati anni molto stimolanti per me, perché ero immersa in un contesto artistico molto vivace e ricco di spunti. Poi, dopo una parentesi a Barcellona, sono tornata a Milano, dove anche attualmente vivo e lavoro ed ho portato in città quanto appreso in quegli anni creando i miei progetti e divulgando la mia arte. Ultimamente ho dato vita al mio brand dipingendo anche sugli abiti.

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  • Quali forme d’arte hai sperimentato nella tua ricerca?

Sono passata come detto dalla pittura alla fotografia, alle installazioni alle performance studiando il body painting, la recitazione, il canto e la scrittura. In Umbria in qualche modo ho mandato all’aria tutti i vincoli che mi imponevo in precedenza dissodando per così dire la terra per fare nascere nuove piante, superando molte paure e cercando la mia autenticità espressiva. Là ho avuto la fortuna di collaborare e formarmi con artisti eclettici che mi hanno spinta a superare i miei limiti. E come vedi la sperimentazione è continua, perché sono da sempre curiosa e appassionata dei media artistici e delle possibilità incredibili che abbiamo a disposizione.

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  • Quale ruolo ha il femminile all’interno della tua vita?

La questione del femminile per me è centrale e permea tutta la mia ricerca e produzione artistica e vitale e difficilmente riesco a scindere le due cose. Nel tema del femminile si ritrova il fil rouge del mio lavoro. Ho fatto un lungo lavoro di autoanalisi e di analisi delle dinamiche delle donne della mia famiglia per arrivare a svincolarmi da quelli che sono i condizionamenti che irretiscono la donna da secoli, o almeno ci provo costantemente e lavoro per portare la mia ricerca e consapevolezza agli altri, perché la produzione artistica non sia fine a se stessa ma apporti crescita anche in chi la fruisce.

In Umbria è nata la sciura Fedora, un personaggio che condensa in sé la rinascita del femminile, la centralità di un atteggiamento più ludico, il potere del gioco, del sorriso e della cooperazione oltre che del recupero della tradizione, l’importanza delle cose fatte a mano e il rispetto per l’ambiente circostante. Ho recuperato infatti una donnina che trae le sue fattezze dalle antiche statue votive femminili della Dea Madre che venivano poste nelle case per portare abbondanza e fertilità e l’ho decorata dandole un nome e ho cominciato a creare il progetto artistico portandola in giro e fotografandola in diversi luoghi e poi ho invitato chiunque l’acquistasse a giocare con lei e ad essere creativo.

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Così nel tempo ho ricevuto video, canzoni, scritti, fotografie di lei in viaggio. La sciura Fedora dunque sprone per la creatività. Poi ho chiesto a 9 artiste di diversi linguaggi espressivi di decorarla con me e insieme abbiamo dato vita a 300 donnine colorate, scritte, rivestite di abiti che ho poi portato in giro per il territorio creando delle installazioni nei luoghi belli della regione Umbria ed ho immortalato l’incontro tra opera e territorio con delle fotografie e dei video che raccontano il lavoro con le artiste e le scoperte fatte nella regione.

La sciura Fedora è rispettosa dell’ambiente e questo progetto di libera esposizione itinerante nasce dal mio sogno di vedere emergere una marea di donne che insieme portano nel mondo valori quali la pace, l’amore, la condivisione e l’arte. Ho avuto la possibilità di andare in Florida per fare delle ricerche sui Seminole e ho scoperto una società matrilineare, in cui la donna era centrale e godeva di massimo rispetto e questo mi ha insegnato molto e mi ha spinta a credere che sia proprio la donna portatrice di questi valori positivi e che solo mettendosi in rete le une con le altre si possa modificare in meglio il mondo.

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Da qui anche l’opera  video cucire e dejeuner sur l’herbe realizzata facendo emergere delle donne in carne ed ossa da dietro una collina per cucire insieme su un lenzuolo dei pezzi di tela dipinti in cui è raffigurata la storia di una donna nel suo intimo letto. Davanti a loro, un giovane uomo nudo che viene edotto dal racconto della più saggia di loro, invertendo dunque il lavoro di Manet che porta la donna nuda in primo piano in mezzo a uomini vestiti. Tornata a Milano, ho creato un progetto che ho chiamato Fedora in cui proponevo nei quartieri arte nelle sue svariate forme, cura personale e centralità del femminile dando vita a una rete di esercizi commerciali, esperti di differenti discipline, artigiani locali al servizio della donna. Una donna che si realizza ed è appagata della propria vita è motore di crescita per chi le sta intorno e può apportare cambiamenti positivi nel mondo. In rete con le altre e con chi vive e abita le città e vi costruisce piccoli mondi creativi.

  • Ci parli del tuo progetto delle 10 giacche sul rispetto e contro la violenza?

Personalmente ho subito delle violenze e ho a lungo lavorato per ricucire le ferite. Una cosa che credo essenziale è focalizzare lo sguardo sulla costruzione dell’autostima e del rispetto per noi stesse in primis. Credo che sia importante il lavoro di empowerment femminile a 360° e che lo sguardo vada indirizzato non contro qualcosa, ma a favore di quello che vogliamo ottenere e raggiungere, ovvero il rispetto per la donna in ogni sua forma e caratteristica. L’attenzione focalizzata verso il problema rinforza il problema stesso e il trauma invece che risolverlo, mentre io lotto per portare crescita e consapevolezza, posizione dalla quale è più difficile subire violenza e accettarla. La violenza non è solo quella fisica ed esplicita ma può anche essere molto subdola e invisibile, psicologica, finanziaria, lavorativa come si sa e permea la nostra società in seguito a secoli di predominio del patriarcato che sminuisce e porta la donna in una posizione di inferiorità e costringe l’uomo stesso in un ruolo che non è sostenibile spesso. Per fortuna ad oggi sono stati fatti tanti passi avanti e sono tante le battaglie vinte, ma c’è ancora moltissimo da fare se solo si guarda alla quantità di femminicidi commessi nel nostro Paese.

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Da qui e da queste riflessioni nascono tutti i miei progetti e per ultimo R-I-S-P-E-T-T-A. 10 giacche, due con la scritta you are rare e  il simbolo della regina di cuori. Le altre con il volto di Vittoria (nome benaugurante), una donna ritratta con diverse espressioni e la scritta RISPETTA che si legge solo quando chi le indossa si affianca agli altri. Insieme si può raggiungere questo obiettivo: rispetto per se stessi, per la donna nelle sue varie emozioni, rispetto per l’essere umano in genere, e rispetto per l’ambiente in cui il progetto performativo prende vita. Foto e video documentano l’avvenimento e l’incontro gentile dell’opera d’arte con le bellezze del territorio dando vita a ulteriori opere .

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La live performance è partita da Monza in occasione della Monza Design week e si è spostata poi a Milano durante il Salone Internazionale del Mobile. Il progetto è di portare la performance anche in altre location e città per documentare la bellezza del territorio e divulgare questa visione. Chi indossa le giacche si sposta e porta con sé questo messaggio, chi acquisterà una giacca o le foto saprà di fare parte di un movimento più ampio. Ogni giacca ha un significato e parla del viaggio da intraprendere per arrivare al rispetto. Ogni volta la performance cambia perché sono diverse location e persone. Quello che vorrei fare è realizzare una mostra finale, tappa conclusiva di questo viaggio, e là vendere giacche e foto. Il ricavato andrà poi in parte devoluto a un’associazione che si occupa dell’empowerment femminile, perché l’arte sia anche utile concretamente.

  • Che cosa consigli a tutti coloro che vorrebbero far entrare l’arte nella propria vita, ma non sanno da dove cominciare?

Bisogna vincere il blocco da foglio bianco e scegliere una disciplina che appassiona per muovere i primi passi con fiducia. Secondo me è importante trovare all’inizio un buon maestro che ci lasci la libertà di sperimentare molto in un setting pedagogico sicuro. Ci sono tantissimi corsi, workshop a cui potersi iscrivere per muovere i primi passi. Consiglio di lasciarsi andare, di non preoccuparsi del risultato ma di stare nel processo, di dissodare la terra per così dire e vedere cosa emerge con curiosità, senza obiettivi precisi se non quello di esprimersi e divertirsi.

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I bambini, che non hanno sovrastrutture, sono molto liberi nel creare e spesso generano lavori molto intensi e da loro dovremmo recuperare quella forza espressiva. Picasso diceva che ci aveva messo qualche anno ad apprendere la tecnica e poi una vita intera a tentare di tornare a dipingere come un bambino. Che sia prendere in mano un pennello, impastare l’argilla, scattare delle fotografie, girare dei video, scrivere, cantare dunque, consiglio per cominciare di assumere un atteggiamento ludico e aperto verso cose inaspettate che possono emergere. Consiglio di non farsi quindi paralizzare dalla paura di sbagliare ma di considerare l’errore come un’opportunità, perché magari ci conduce là dove non avevamo previsto di inoltrarci e così tastiamo il  terreno. E comunque sia l’errore ci può insegnare sempre molto. L’arte è essenziale per rendere più preziosa la vita e dotarla di profondità e senso, quindi consiglio di lasciarsi ispirare. Oltre al fare, bisogna infatti guardare o ascoltare il lavoro degli artisti che piacciono senza lasciarsi intimorire. Bisogna guardare e ascoltare molto. Poi però ognuno ha una propria voce, un proprio modo di fare le cose e questo va valorizzato. Dopo essersi fatti ispirare bisogna dimenticarsi il confronto e tentare una propria strada anche cercando dei mentori diversi che possano accompagnare durante il processo. Perché in un secondo momento, oltre all’istinto e alla scoperta casuale serve anche creare una struttura tecnica che ci sorregga e quindi imparare a padroneggiare alcuni strumenti che sono quelli che regolano ogni disciplina artistica, perché la tecnica ci dona più possibilità e quindi fornisce anche più libertà di azione. Restando sempre aperti e curiosi, senza farsene ingabbiare.

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Grazie Claudia, penso che i concetti di sperimentazione e libertà in campo artistico siano assolutamente da riscoprire: spesso siamo affascinati dal risultato, ma il vero viaggio di scoperta sta nel percorso! Ammiro molto anche il tuo discorso sul femminile, con il quale posso dirmi assolutamente d’accordo: sono da sempre una sostenitrice dell’empowerment femminile che applico quotidianamente nella mia vita, attraverso piccoli gesti.

Grazie per aver regalato questa intervista a The Fashion Attitude: credo che tante nostre lettrici si possano ritrovare nelle tue parole!

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