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Leucofobia [Paura del colore bianco]

by Paola Ferrario
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Alessia Savi, scrittrice emergente e blogger di www.alessiasavi.com, ci porterà alla scoperta delle nostre peggiori paure suddividendole in 17 racconti che troverete nel suo blog. Per The Opinion Leader ha scritto “Leucofobia, Paura del colore bianco”, dove ci narra la vicenda di una giovane adolescente.
Buona lettura!

“Pareti bianche, lenzuola bianche, facce bianche. Entrava ed usciva dagli ospedali da quando era una bambina. Lo facevano con alcuni, non con tutti. Dicevano che c’erano bambini speciali – particolari, in un certo senso – che dovevano essere tenuti sotto controllo. A sedici anni, avevano deciso che la sua vita valeva esattamente quanto quella dei pazzi, per cui l’avevano rinchiusa in mezzo a loro. Avevano convinto sua madre che l’elettroshock servisse per calmarla, per placarla un poco. A una madre puoi far credere qualunque cosa, se s’illude che sua figlia possa guarire. Corridoi illuminati dalle luci al neon l’accompagnavano mentre sfilava legata al suo lettino, trascinata da un paio di infermieri grandi come buttafuori verso quella maledetta stanza. Ne avevano paura tutti. Dicevano che il cervello, lì dentro, te lo spappolavano proprio e lei era convinta fosse vero. Vero come la vita che le stavano strappando un poco alla volta: blogtourqualche goccia di troppo di Xanax, troppo poco Prozac, mietitura prematura con l’elettroshock per riparare alla distrazione di medici negligenti. L’avevano trasportata in quella stanza dalle piastrelle candide, divise da sottilissime linee del medesimo colore.  Tutto era bianco, come se fosse necessario dare l’illusione di pulito, di vita che ti entra dentro. Il bianco è simbolo di purezza. A lei, il bianco ricordava la soffocante cappa di una neve troppo abbondante, troppo silenziosa, troppo opprimente. Come le parole non dette, le sue. Cercò di guardarsi attorno ma vedeva già le figure come ammassi di colori confusi e sfocati, e la testa pesava come un macigno. Li sentì inumidirle le tempie e poggiarvi sopra due elettrodi ghiacciati, l’unica cosa che potesse ricordarle di essere ancora viva.
Sarebbe svenuta, le avrebbero cancellato un pezzetto di memoria illudendosi di riprogrammarla.
Poi, lentamente, tutto sarebbe affiorato sotto forma di sogni, l’avrebbe raccontato allo psichiatra e l’avrebbero riportata lì.
Non c’èra fine all’ignoranza della gente, alla sua stupidità.
E lei avrebbe continuato a subire, ancora e ancora, sino a quando, troppo stanca, non si fosse lasciata morire.
Le sarebbe piaciuto trasformarsi in spuma di mare, ma sapeva che era solo un’illusione alla quale aggrapparsi.
No, era stata vestita di bianco tutta la vita: camici d’ospedale e all’occorrenza camicie di forza.
Le sarebbe piaciuto trasformarsi in belladonna: fiorire venefica, contro chiunque avesse tentato di sfiorarla di nuovo.”

 

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