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Etsy acquista Depop: come la Generazione Z orienta i consumi

by Francesca Marangoni
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La notizia più calda delle ultime settimane è senza dubbio l’acquisto di Depop da parte di Etsy per una cifra che supera il miliardo di dollari. Tuttavia, come se questo dato non fosse di per sé sufficiente ad attirare l’attenzione, la verità è che vi è molto altro sotto la superficie. L’acquisizione è infatti la punta di un iceberg che galleggia grazie ai consumatori più giovani e sensibili.

Ma andiamo con ordine e partiamo dai fatti. Etsy è un marketplace statunitense di prodotti handmade e pezzi vintage che permette una facile connessione fra acquirenti e realtà commerciali senza sostenere costi di magazzino. La piattaforma monetizza attraverso una piccola percentuale trattenuta sulla vendite, le quali hanno portato ad un guadagno di 10,3 miliardi di dollari nel solo 2020. Non male, ma migliorabile in termini di target e consumi. Gli utenti di Etsy hanno in media 39 anni (sono quindi fra i primi Millenials, ossia i nati fra il 1980 ed 1995), e l’acquisto di abbigliamento ed accessori rasenta il 10% delle vendite totali. Bisogna inoltre dire che il boom delle vendite è stato registrato nei primi tre mesi della pandemia, dopodiché la riapertura dei negozi fisici ha portato ad un notevole calo.

Così l’occhio cade su Depop, app amatissima dalla Gen Z, i nati dal 1996 al 2010 circa: il 54% degli iscritti ha infatti tra i 14 ed i 24 anni, ed il 90% della community è sotto i 26. Si tratta di una piattaforma che permette di acquistare e vendere capi di abbigliamento di seconda mano a prezzi molto vantaggiosi con il medesimo meccanismo di Etsy – commissioni sulle vendite e zero magazzino. Nel 2020 i ricavi hanno superato i 70 miliardi di dollari, raddoppiando la cifra dell’anno precedente e raggiungendo i 30 milioni di utenti in 150 Paesi. Definirlo colosso è quasi riduttivo.

Pochi sanno che Depop ha “sangue” tricolore. Il fondatore Simon Beckerman, classe 1974, è l’imprenditore milanese che nel 2011 sceglie il Campus H-Farm di Treviso, culla delle start-up in Italia, per avviare il proprio progetto. All’epoca Depop (in origine si chiamava Garage per omaggiare i mercatini di quartiere) era una sorta di social network dove comprare e vendere articoli di Pig Magazine, rivista fondata da Simon ed il fratello Daniel. Basta poco però per capire le potenzialità di questo strumento, che può trovare terreno fertile anche nel mercato della moda, reinventandolo di fatto come Spotify ed AirBnb hanno fatto rispettivamente con la musica e gli alloggi. Nel 2012 Depop sposta la base a Londra ed inizia un’accelerata verso l’intero globo grazie all’apertura di sedi in città strategiche quali Milano, New York, Los Angeles e Sydney. Ad oggi l’azienda conta 400 dipendenti. 

A giugno 2021 Etsy compra Depop per una cifra record: 1,625 miliardi di dollari, il doppio di quanto Facebook ha pagato Instagram. Anche per l’Italia è un primato: Depop affianca Yoox nell’elenco delle aziende “unicorno”, ovvero con una valutazione superiore al miliardo. Cosa giustifica un esborso astronomico di questo calibro? Come accennato, Etsy punta a raggiungere un bacino di utenti decisamente più giovane rispetto a quello attuale, i quali hanno una maggiore dimestichezza con le app e gli acquisti online. L’enorme capitalizzazione di Etsy, maggiore di qualsiasi altro competitor, potrà dall’altro lato mettere il turbo a Depop e potenzialmente indirizzare gli utenti “originari” verso abitudini di consumo ancora inesplorate. 

È proprio la Generazione Z e le sue abitudini di consumo a governare il mercato facendo rizzare le antenne agli investitori,
partendo dalla moda second hand. Non che i mercatini vintage siano una novità, anzi, ma la vera differenza e rottura con il passato è la percezione associata a questo tipo di negozi. La moda circolare è per i giovanissimi una scelta naturale e spontanea che mira a salvaguardare il pianeta e proteggere le risorse, e secondo il Circular Fashion Report 2020 il valore potenziale del mercato della moda circolare si aggira attorno ai 5mila miliardi di dollari. Quello che la “vecchia scuola” vedeva quindi come una tipologia di acquisto di serie B, ora è il motore trainante dei consumi attuali, e buona parte è merito di ragazzi appena entrati nella fase adolescenziale. 

Il settore del lusso non sta di certo a guardare, tanto che alcuni e-commerce di seconda mano sono focalizzati solo sulla vendita esclusiva di luxury items. Secondo un’indagine di Boston Consulting Group, il second hand di abbigliamento, calzature ed accessori ha un valore corrente di 40 miliardi di dollari, con un tasso di crescita atteso attorno al 20% annuo. Fra i maggiori player riconosciamo Vestiaire Collective, che riesce a sedurre Kering ottenendo un finanziamento da 216 milioni di dollari ad aprile 2021. Kering acquista così il 5% della piattaforma ed il CEO François-Henri Pinault commenta: “Il lusso second-hand è ormai una realtà con radici consolidate, specialmente tra i consumatori più giovani. Anziché ignorare il fenomeno, vogliamo cogliere questa opportunità per aumentare il valore che offriamo ai nostri clienti e indirizzare il futuro del nostro settore verso pratiche più innovative e sostenibili”. Basti pensare che l’acquisto di una borsa di lusso su questa piattaforma può ridurre l’impatto ambientale fino al 91%.

Il lockdown è stato un complice importante per questa esplosione. In un articolo del Financial Times si sottolinea come la pandemia abbiamo accelerato la crescita del settore e modificato le scelte di consumo, con acquirenti più attenti al valore del denaro ed al lato sostenibilità. Si accede quindi a prodotti di lusso con prezzi decisamente più abbordabili del retail, scovando magari pezzi unici e supportando la circular economy. “Quality over quantity” non è mai stato così attuale.

Qualità, tecnologia, sostenibilità: da qui si (ri)parte. Grazie ragazzi.

Image source: Pinterest; depop.com; vestiairecollective.com 

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