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Da Dakar a Milano una moda che profuma di sociale: ecco Kechic!

by Federica Livio
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Cheikh è un ragazzo senegalese che da ragazzino è stato colpito dalla polio e ha perso l’uso delle gambe. Valeria si occupa di comunicazione a Milano ed è innamorata dell’Africa. Dal loro incontro ad un festival culturale nasce Kechic. No, non è l’incip di un romanzo, ma la genesi della storia che vi voglio raccontare oggi attraverso questa intervista, che parla di amicizia, culture diverse, artigianalità, sociale, sogni. E cosa sono i sogni, se non progetti che vogliono rendere tangibile l’impossibile?! In Kechic la moda è un pretesto, è IL pretesto: occasione di incontro, scambio, condivisione; opportunità di aiutare, imparare, crescere; zona franca e molto molto colorata attraverso la quale dare vita ad un progetto culturale multietnico.

Kechic

E da amante dei progetti che puntano all’inclusività e all’interscambio tra culture quale sono, non potevo che rimanere affascinata da Cheikh e Valeria, dal loro coraggio e dalla loro voglia di fare. Perché in Kechic ogni capo parla, e ha una storia bellissima da raccontare!

  • Come nascono il marchio e il progetto Kechic?

Il marchio e il progetto Kechic nascono dalla nostra amicizia. Ho incontrato Cheikh circa due anni fa e aveva bisogno di trovare un lavoro. Cheikh è disabile sulla sedia a rotelle ed è straniero in Italia, arriva dal Senegal. Non era facile per lui trovare un impiego e così dopo aver un po’ tentato abbiamo deciso…di inventarcelo noi un lavoro. Visto che Cheikh era sarto già in Senegal abbiamo pensato che si potesse partire da questa sua competenza. Io mi sono sempre occupata di ufficio stampa e comunicazione e ho pensato che potesse essere utile anche questa mia professionalità. Insomma, ci siamo chiesti: “Perchè non provare?”, ma da subito il focus del nostro lavoro è stato l’incontro con le altre persone e le altre culture, non solo la moda fine a se stessa. Perché la moda parla e racconta chi sei. Il logo Kechic lo dobbiamo alla nostra amica grafica Orith Kolodny, di origine israeliana, che da subito è entrata nel nostro team e così è stato per tanti altri amici che hanno messo a disposizione le loro competenze per noi e si sono buttati – chi più, chi meno – in questa nostra comune avventura. La nostra sartoria è una casa aperta a chiunque voglia entrare anche solo a parlare o a bere un caffè. Come una casa africana senza porte, ma con le tende colorate.

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  • Come si intrecciano e si supportano lo stile africano e la sartoria italiana?

Cheikh all’inizio tagliava all’africana. Che non è una parolaccia…😊: semplicemente, aveva la tecnica imparata in Africa di tagliare “con gli occhi” (come dice lui), cioè senza usare cartamodelli: aveva un’idea di taglia/misura non precisissima e uno standard qualitativo mediamente non molto alto. Ecco, gli ho subito cercato di spiegare come funziona qui. Non gliel’ho spiegato come esperta (perché io non so cucire un bottone) ma come “acquirente”, come “donna potenziale cliente”, facendogli capire quello che avrei comprato e quello che non avrei acquistato e perché. Anche qui abbiamo avuto molta fortuna, perché quasi per caso o per destino abbiamo incontrato Alessandro D’Ambra, insegnante della scuola di sartoria Il Teatro della Moda, che si è preso gratuitamente – e lo sottolineo perché credo che sia stato di una generosità rara – in carico Cheikh per un anno nella sua scuola per partire dalle fondamenta. E così abbiamo iniziato. Lo stile africano è sempre nei nostri occhi e tanti modelli lo richiamano anche proprio con rivisitazioni di vestiti tradizionali senegalesi. Il mix dei tessuti, ovvero wax, cotone che importiamo da Dakar e tessuto occidentale che compriamo in Italia c’è sempre e volutamente. Ci divertiamo a fare anche degli abbinamenti un po’ azzardati e bizzarre, ma alla fine funziona. Di italiano c’è anche la cura e l’artigianalità, il fatto a mano e lo stile occidentale, comodo, divertente, originale, sportivo, ma anche elegante. Noi diciamo sempre che i nostri vestiti devono fare stare bene le persone che li indossano e farle sentire a proprio agio. Di molto africano poi c’è la luce, il colore e la spensieratezza che vorremmo trasmettere con il nostro stile.

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  • Intrecciare fili, fare rete, fare squadra: come si concretizza tutto ciò in Kechic?

Cheikh è anche un giocatore di pallacanestro su sedia a rotelle. Giocava nella nazionale senegalese, poi nel Cantù ora in serie B nella squadra del Seregno. Chi più di lui conosce il concetto di fare squadra? Anch’io sono sempre stata una che non ama fare le cose da sola, perché ho sempre pensato che da sola puoi fare un po’, ma non certo tutto e che solo in rete si possa davvero andare avanti. Con questo spirito siamo sempre molto pronti ad accogliere chi ci viene incontro, cerchiamo collaborazioni con persone anche molto diverse da noi, nuove idee, ci piace lavorare in gruppo, fare progetti con altri è molto stimolante, inventarsi collegamenti e il primo nostro ponte è con Dakar, con i colleghi del Centre Handicapè del quartiere di G da cui arriva Cheikh che sono coinvolti in prima persona nel nostro progetto.

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  • Kechic ha un’anima sociale: ce la raccontate?

Esatto, l’anima sociale è proprio questa. Con noi lavorano i sarti delCentre Handicapè di Dakar. Al momento sono coinvolti solo nella produzione di pochi pezzi per lo più accessori, ma presto faremo loro formazione per poterci supportare anche in altro. Sono i nostri riferimenti in Africa per le stoffe e la vita del centro, dove oltre che la sartoria c’è anche una scuola. Anche nella nostra sartoria milanese, che è ancora molto piccola e ai suoi inizi (siamo attivi da settembre), vorremmo privilegiare il lavoro di persone in difficoltà per motivi diversi (disabilità, lingua, soldi…), perché è stupendo vedere rifiorire una persona che pensava di non farcela e invece ha il coraggio di rimettersi in discussione. Io sono sempre molto colpita dalla forza d’animo di certe persone e dalla loro volontà. E vorrei imparare. Vedere le cose da punti di vista differenti è sempre un grande arricchimento. E a volte sono proprio i più vulnerabili a insegnarcelo. Accanto all’impresa artigiana Kechic, infatti, con 7 amici abbiamo aperto una APS, Associazione di Promozione Sociale che si chiama Kechic Milano Dakar.

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  • Quali progetti avete per il futuro?

Progetti? Mille. Il primo? Sopravvivere. Non è facile per una piccola realtà come la nostra resistere alle spese delle materie prime, delle tasse, dell’affitto…non siamo partiti purtroppo con un capitale da investire e stiamo facendo di tutto per arrivare almeno adesso a pareggiare i conti. Ma siamo fiduciosi. Vogliamo ricostruire la sartoria e tutta la parte della sala polivalente del Centre Handicapè di Dakar (compito dell’APS), fare lavorare le persone in difficoltà dando voce a tante voci per creare cose bellissime, aprire un consorzio di artigiani di tutto il mondo e un polo culturale multietnico dove poter svolgere attività di vario genere (dall’insegnamento della lingua, al doposcuola, agli eventi, laboratori ma anche incontri culturali ecc). Vorremo che la nostra linea Kechic fosse riconosciuta proprio per questo approccio culturale, di apertura al mondo più che fashion, che comunque ci piace.

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Valeria e Cheikh grazie davvero per questa intervista! Vi faccio un enorme “in bocca al lupo da parte di tutta la redazione di The Fashion Attitude e spero di sentire spesso parlare di voi. Sono convinta che l’incontro tra anime differenti per status sociale, cultura e provenienza geografica sia sempre e comunque ricchezza da salvaguardare.

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